Massa Marittima 2° parte
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il Museo Archeologico
Il Museo Archeologico di Massa Marittima rappresentava, in origine, solo una piccola parte del Museo Civico, fondato nel 1867 insieme alla Biblioteca per opera di Stefano Galli da Modigliana, autore delle "Memorie storiche su Massa Marittima" e primo direttore. Il Museo Civico era infatti costituito da varie sezioni, tra le quali una comprendeva la collezione mineralogica di Theodore Haupt, successivamente trasferita all'Istituto Minerario a scopo didattico, un'altra era costituita dalle memorie storiche locali del Risorgimento, attualmente non esposte per mancanza di spazi, e un'altra ancora era rappresentata dalla Pinacoteca. Per quanto riguarda la sezione archeologica, il nucleo originario era costituito da una raccolta di oggetti donati da Stefano Galli, al quale li inviò a partire dal 1875 il padre Gismondo, che faceva l'insegnante nella zona di Vulci e Tarquinia. Tale nucleo si è ampliato considerevolmente con reperti preistorici ed etruschi con gli scavi condotti nel territorio massetano verso la fine del secolo scorso e negli anni '20-'30 di questo secolo. Ma le collezioni sono cresciute soprattutto dal 1980 in poi, da quando cioè l'Università di Firenze ha iniziato una serie di campagne di scavo nell'insediamento etrusco del lago dell'Accesa. Di conseguenza anche l'esposizione dei reperti è stata riorganizzata più volte, finché dopo la mostra su "L'Etruria mineraria" del 1985, nell'ambito del "Progetto Etruschi", la sezione archeologica del Museo Civico è diventata Museo Archeologico e dal 1994 occupa l'intero Palazzo del Podestà, salvo due salette al piano terreno dove si può ammirare, tra l'altro, la famosa Maestà di Ambrogio Lorenzetti, che verrà trasferita entro la fine del 2001 nel costituendo Museo Civico Diocesano di Arte Sacra.
L'Esposizione
Al piano terreno del Palazzo del Podestà, a sinistra della biglietteria, una saletta raccoglie la Collezione Galli. Nel primo corridoio a destra la prima sala espone le tre opere pittoriche più importanti della ex Pinacoteca, che sarà completamente riallestita nell'ex convento di S. Pietro all'Orto, attualmente in restauro, dove svrà sede il Museo Civico Diocesano di Arte Sacra. Si tratta della Maestà di Ambrogio Lorenzetti, dell'Angelo Annunciante del Sassetta e della Madonna con Bambino di Sano di Pietro. Nella seconda saletta è invece esposta in due vetrine una piccola collezione di ceramiche dei secoli XVI e XVII. In un'altra vetrina sono conservati due esemplari del "grosso", la moneta del Libero Comune di Massa Marittima, con i rispettivi conii. Nelle rimanenti due sale, alle quali si accede dal secondo corridoio, sono esposti materiali provenienti dalle prime campagne di scavo condotte nei dintorni di Massa Marittima: reperti preistorici delle numerose grotte del territorio, reperti etruschi e romani. Due piccole vetrine a muro dello stesso corridoio espongono rispettivamente il calco dell'Oreopithechus bambolii, una scimmia fossile miocenica rinvenuta per la prima volta nel 1872 nelle miniere di lignite del Montebamboli, a pochi chilometri da Massa Marittima, e la preziosa stele antropomorfa del Vado all'Arancio , databile al III millennio a.C. e confrontabile con le statue-stele della Lunigiana. Nei due piani superiori del Palazzo del Podestà sono conservati i reperti ritrovati nell'area A e nell'area B del sito etrusco denominato Macchia del Monte nei pressi del Lago dell'Accesa, dove è stato recentemente costituito il Parco Archeologico Etrusco dell'Accesa, con sentieristica e pannelli illustrativi. Il materiale esposto nel Museo proviene in parte da abitazioni e in parte da tombe . Grazie ad esso l'insediamento etrusco, che appare suddiviso in una serie di piccoli villaggi (area A, area B, area C, area D e area E, quest'ultima ancora in corso di scavo), si può inquadrare cronologicamente tra la fine del VII e la fine del VI secolo a.C.. Si tratta con tutta probabilità di un insediamento a carattere minerario sia perché si sono ritrovati, fra i muretti di fondazione delle abitazioni, pezzi di minerale o di rosticci, sia perché l'area abitata è molto vicina alle aree minerarie di Fenice Capanne e Serrabottini. Culturalmente l'abitato dell'Accesa gravitava nell'orbita della vicina città di Vetulonia, alla quale l'insediamento era collegato dal fiume Bruna, che scaturisce dal lago dell'Accesa e passa sotto il poggio di Vetulonia.
La stele antropomorfa del Vado all’Arancio
Le statue-stele Le statue-stele, o menhir (dal bretone men= pietra e hir= lunga) o stele antropomorfe perché rappresentano in maniera schematica la figura umana, sono state rinvenute un po’ in tutta Europa, come mostra la cartina qui a fianco. In Italia se ne sono trovate diverse, dall’arco alpino Puglia alla Sardegna; le più numerose sono quelle della Lunigiana (oltre 60), suddivise in tre gruppi (A, B e C) in base a caratteri formali. La cronologia Molte delle stele conosciute sono state ritrovate in maniera casuale e fuori dal loro contesto originario, per cui le datazioni sono difficili. La maggioranza di esse è però caratterizzata, a seconda se si tratta di figure femminili o maschili, dalla rappresentazione di armi (asce, pugnali), ornamenti (collane, bracciali) o altro, che rendono possibili datazioni per confronto con oggetti simili, o decorati in modo simile, provenienti da scavi stratigrafici. Questo ha permesso di collocare l’insorgere del fenomeno all’Eneolitico o Età del Rame (fine IV-III millennio a.C.). Tale cronologia è confermata dalle datazioni assolute col carbonio radioattivo (C14) ottenute dallo scavo dell’area sacra di Aosta, dove le stele fanno parte di un contesto archeologico preciso. In Italia il fenomeno delle stature stele sembra estinguersi con l’Età del Bronzo per ricomparire nell’Età del Ferro (I millennio a.C.) La funzione delle statue-stele La funzione delle stele è ancora molto discussa a causa della difficoltà di associarle, salvo casi rari come quello della Val d’Aosta, a precisi contesti. Si ritiene comunque che siano essenzialmente legate a riti funebri e/o al culto delle divinità. Senz’altro legate a riti funebri sono la maggioranza di quelle datate all’Età del Ferro. Ipotesi affascinanti ma difficili da dimostrare legano la presenza di quelle più antiche a vie di transito per l’approvvigionamento del metallo. La stele del Vado all’Arancio La stele antropomorfa che viene qui esposta fu rinvenuta casualmente negli anni ‘50 nei pressi del Podere Vado all’Arancio, a Cura Nuova (Massa Marittima), dal signor Dino Arzilli e consegnata al Museo Archeologico alla fine degli anni ‘70 anche grazie all’interessamento del signor Sergio Bucci. E’ impossibile sapere se fosse inserita in un contesto archeologico perché sul momento non furono effettuate indagini archeologiche e nell’area del rinvenimento non sono stati trovati finora altri reperti che possano in qualche modo essere messi in relazione con essa. La stele rappresenta una figura umana di forma sub-triangolare, scolpita a leggero bassorilievo con scalpelli a taglio e a punta arrotondata su una lastra di arenaria la cui parte inferiore è spezzata. Nel volto a "T" con sopracciglia dritte, unite alla radice del naso, l’occhio destro è indicato da una sottile incisione circolare, mentre il sinistro è molto abraso. Dalle spalle appena sporgenti partono le braccia ad andamento curvo, che terminano con piccole mani dalle dita a frangia raccolte all’altezza dello stomaco. Nessuna indicazione (bracciali, pugnali o altro) permette di comprendere se si tratti di una rappresentazione femminile o maschile. La stele del Vado all’Arancio, sulla base di confronti formali e stilistici con le statue del gruppo A della Lunigiana e soprattutto con quelle del gruppo provenzale, è databile all’Eneolitico pieno, ovvero al III millennio a.C.
L’affibbiaglio in bronzo
L’affibbiaglio in bronzo proviene dalla tomba a fossa n. 1 della necropoli occidentale dell’Area B del lago dell’Accesa. Si tratta di una tomba rettangolare il cui fondo era coperto da lastre scistose irregolari, che presentava evidenti segni di violazione al momento dello scavo. I materiali superstiti del corredo e pochi resti ossei erano sconvolti e concentrati nell’angolo sud-ovest. L’affibbiaglio ha i ganci conformati a protomi, una femminile fra due leonine; i telaietti sono decorati con una sfinge e con un cavallo alato, ottenuti a giorno. Altri oggetti del corredo, esposti insieme all’affibbliaglio, sono: un reggivasi in ferro, un’ascia, una lancia, un codolo, uno spiedo, una fibula a sanguisuga, tutti in ferro; quattro unguentari (tre aryballoi piriformi e uno a punta), due askoi a ciambella, una tazza biansata (skyphos) e una coppetta su alto piede, tutti in argilla figulina; un kantharos in bucchero con vaschetta dal profili obliquo, piede basso a tromba, anse a nastro sormontanti; un’olla con coperchio decorata a impressioni a stampo (triangolo isoscele con trattini paralleli), un coperchio, una coppetta su basso piede, sette ciotole su piede a echino rovesciato, cinque ciotole su alto piede, due fuseruole in impasto buccheroide; un kantharos e un’olletta in frammenti in impasto rosso. L’esame dei resti ospeologici ha stabilito la pertinenza del corredo ad un individuo femminile; però se alcuni oggetti del corredo fanno pensare ad una donna (affibbiaglio, unguentari, fuseruole, etc.) altri (ascia, lancia) farebbero pensare ad una seconda deposizione maschile. Del resto la tomba era già stata violata al momento dello scavo, per cui altri oggetti e altri reperti ossei sono certamente andati perduti. Per il tipo e per i motivi decorativi l’affibbiaglio è in modo evidente un prodotto tipico della facies orientalizzante. Gli aryballoi piriformi riproducono una forma affermata nella ceramica corinzio attica e largamente diffusa in quella etrusco-corinzia degli ultimi anni del VII e i primi anni del VI secolo a.C. La datazione probabile della tomba è intorno agli ultimi decenni del VII secolo a.C.
la Chiesa di Sant'Agostino
La chiesa fu eretta dagli agostiniani in sostituzione della vicina e
più antica chiesa di San Pietro all’Orto, ormai insufficiente ad
accogliere la popolazione. La costruzione, in stile gotico, fu iniziata
nel 1299 e completata nel secondo decennio del Trecento. La parte
terminale fu invece eseguita tra il 1348 ed il 1351 da maestri senesi.
L’edificio si distingue per la semplicità delle sue forme, che riflettono l’austera regola dell’ordine monastico.
L’interno, a navata unica, è scandito da sei grandi archi a sesto acuto e termina in un coro poligonale affiancato da cappelle rettangolari, dove si aprono grandi finestre ogivali.
La chiesa ospita pregevoli opere del Cinque e del Seicento; accanto alla Visione di San Guglielmo di Antonio Nasini (1643-1715), si ricordano le opere dipinte da artisti senesi e fiorentini, che attestano gli ampi orizzonti culturali e le disponibilità finanziarie di questa comunità monastica. Ombre caravaggesche offuscano i quadri del senese Rutilio Manetti (1571-1639), raffiguranti la Madonna col Bambino e i Santi e la Visitazione della Madonna a Sant’Elisabetta. L’Annunciazione di Jacopo da Empoli (1551-1640), del 1614, replica il quadro realizzato dieci anni prima dall’artista fiorentino per la chiesa di Santa Trinita. Fiorentino era anche Lorenzo Lippi (1606-1665), cui si deve la Fuga in Egitto. Sull’altare maggiore era originariamente posta la Maestà di Ambrogio Lorenzetti, che per questa chiesa, come ricorda il Vasari, eseguì anche gli affreschi di una cappella, oggi perduti. Sul fianco si erge un chiostro quattrocentesco, parzialmente demolito nel XIX secolo per costruire le scuole comunali. Il campanile, risalente al 1527, è stato innalzato su una preesistente torre della cerchia muraria.
L’edificio si distingue per la semplicità delle sue forme, che riflettono l’austera regola dell’ordine monastico.
L’interno, a navata unica, è scandito da sei grandi archi a sesto acuto e termina in un coro poligonale affiancato da cappelle rettangolari, dove si aprono grandi finestre ogivali.
La chiesa ospita pregevoli opere del Cinque e del Seicento; accanto alla Visione di San Guglielmo di Antonio Nasini (1643-1715), si ricordano le opere dipinte da artisti senesi e fiorentini, che attestano gli ampi orizzonti culturali e le disponibilità finanziarie di questa comunità monastica. Ombre caravaggesche offuscano i quadri del senese Rutilio Manetti (1571-1639), raffiguranti la Madonna col Bambino e i Santi e la Visitazione della Madonna a Sant’Elisabetta. L’Annunciazione di Jacopo da Empoli (1551-1640), del 1614, replica il quadro realizzato dieci anni prima dall’artista fiorentino per la chiesa di Santa Trinita. Fiorentino era anche Lorenzo Lippi (1606-1665), cui si deve la Fuga in Egitto. Sull’altare maggiore era originariamente posta la Maestà di Ambrogio Lorenzetti, che per questa chiesa, come ricorda il Vasari, eseguì anche gli affreschi di una cappella, oggi perduti. Sul fianco si erge un chiostro quattrocentesco, parzialmente demolito nel XIX secolo per costruire le scuole comunali. Il campanile, risalente al 1527, è stato innalzato su una preesistente torre della cerchia muraria.
la Chiesa di San Francesco
La chiesa, che si dice fondata dallo stesso San Francesco durante un
viaggio in Maremma intorno al 1220, presentava i caratteri tipici
dell'architettura mendicante e aveva un notevole sviluppo in lunghezza.
Ma già all'inizio del Trecento, per la cedevolezza del terreno, veniva
accorciata una prima volta e poi lo fu numerose altre volte fino al
1878, quando fu ridotta al solo transetto e alla parte absidale, con il
coro poligonale e le due cappelle minori, oggi murate. La restante
struttura è opera posteriore.
Da segnalare un Crocifisso ligneo dell'inizio del Quattrocento e una tela di Raffaello Vanni con l' Assunzione della Vergine, san Cerbone e i beati massetani inserita in un altare ligneo.
Da segnalare un Crocifisso ligneo dell'inizio del Quattrocento e una tela di Raffaello Vanni con l' Assunzione della Vergine, san Cerbone e i beati massetani inserita in un altare ligneo.
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